sul ricorso numero di registro generale 8647 del 2011, proposto da Ladurner s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Arthur Frei, Federica Scafarelli, con domicilio eletto presso Federica Scafarelli in Roma, via Giosue’ Borsi, n. 4;
contro
Comunità Comprensoriale Burgraviato, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Manzi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Confalonieri, n. 5;
nei confronti di
Eco Center s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Manfred Schullian, Luigi Manzi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
Provincia Autonoma di Bolzano, rappresentata e difesa dagli avv. Renate Guggenberg, Von, Stephan Beikircher, Cristina Bernardi, Laura Fadanelli, con domicilio eletto presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, n. 24;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. – SEZIONE AUTONOMA DELLA PROVINCIA DI BOLZANO n. 311/2011, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di trattamento rifiuti e depurazione acque
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dells Comunità Comprensoriale Burgraviato, di Eco Center s.p.a. e della Provincia Autonoma di Bolzano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2012 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti gli avvocati Scafarelli, L. Manzi, Schullian e Costa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società Ladurner s.r.l. è una impresa operante nel settore della progettazione, costruzione e gestione di impianti di trattamento rifiuti e depurazione delle acque.
1.1. La Comunità comprensoriale Burgraviato che raggruppa una serie di Comuni della zona di Merano è proprietaria dell’impianto di bio-fermentazione “Tisner Auen” a Lana. Trattasi di impianto destinato alla raccolta, alla fermentazione e al compostaggio di rifiuti organici che all’esito del processo di fermentazione sono trasformati in compost e biogas.
1.2. L’impianto è stato costruito dalla società Ladurner s.r.l.
1.3. Quest’ultima, con lettera del 9 luglio 2008 ha comunicato alla Comunità comprensoriale di avere interesse a gestire l’impianto di Lana e ha chiesto di essere informata di data e modalità della espletanda gara pubblica per l’affidamento del servizio.
Il servizio è stato invece affidato in via diretta dalla Comunità comprensoriale alla società Ecocenter s.p.a. sulla base di convenzione con scadenza 31 dicembre 2010.
In prossimità di tale scadenza la società Ladurner s.r.l. con nota 15 ottobre 2010 ha ribadito il proprio interesse a gestire l’impianto e ha chiesto informazioni sulle modalità di presentazione dell’offerta.
1.4. La comunità comprensoriale ha risposto con lettera del 3 gennaio 2011 con cui ha trasmesso alla società Ladurner s.r.l. la delibera del Consiglio della comunità comprensoriale 20 ottobre 2010 n. 18 che riaffida il servizio in via diretta alla Ecocenter s.p.a. per la durata di 10 anni dall’1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2020.
Ritiene l’amministrazione che ricorrano i presupposti per l’affidamento in house ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. p), l.p. Bolzano n. 12/2007 essendo la Ecocenter s.p.a. una società a totale partecipazione pubblica, di cui sono soci la Provincia autonoma di Bolzano e alcuni Comuni, di cui tutti quelli membri della Comunità comprensoriale Burgraviato, oltre alla stessa Comunità e altre Comunità comprensoriali.
2. Con il ricorso di primo grado, diretto al T.r.g.a. – sezione autonoma di Bolzano, la società Ladurner s.r.l. ha impugnato:
1) la delibera del Consiglio della Comunità comprensoriale Burgraviato 20 ottobre 2010 n. 18 che affida il servizio in via diretta alla Ecocenter s.p.a. per dieci anni fino al 31 dicembre 2020;
2) il contratto di servizio stipulato in esecuzione di detta delibera, con i rispettivi allegati, in particolare il piano economico di gestione (PEG);
3) la comunicazione della Comunità comprensoriale Burgraviato del 3 gennaio 2011;
4) ogni altro provvedimento presupposto, successivo o esecutivo, ancorché non conosciuto.
Oltre all’annullamento degli atti impugnati, la ricorrente ha chiesto, anche, “ai sensi degli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo, d.lgs. 104/2010”, di “dichiarare l’inefficacia del contratto di servizio tra la Comunità comprensoriale Burgraviato ed Eco Center s.p.a., stipulato in esecuzione della delibera del Consiglio della Comunità comprensoriale Burgraviato n. 18 del 20.10.2010”; di “applicare le sanzioni alternative di cui all’art. 123 del codice del processo amministrativo”; di “concedere alla ricorrente ogni opportuna tutela in forma specifica risp. per equivalente, adottando le opportune disposizioni affinché la ricorrente possa conseguire l’aggiudicazione del servizio di cui si controverte, risp. condannare la Comunità comprensoriale Burgraviato al risarcimento del danno per equivalente nella misura accertanda in corso di causa, previa ammissione di c.t.u. contabile volta alla quantificazione del danno effettivamente subito dalla ricorrente”.
2.1. Con il ricorso di primo grado la ricorrente ha lamentato:
1) violazione della l.p. 16 novembre 2007 n. 12 – mancanza dei presupposti per l’affidamento in house;
2) violazione dell’art. 23-bis, d.l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008 n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, l. 23 luglio 2009 n. 99 e dall’art. 15, d.l. 25 settembre 2009 n. 135, convertito, con modificazioni, dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale; violazione dell’art. 4 d.P.R. 7 settembre 2010 n. 168; eccesso di potere per travisamento e illogicità manifesta; violazione dell’art. 7 l.p. 17/1993 risp. eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione; violazione degli obblighi dell’evidenza pubblica sanciti dal d.lgs. 163/2006;
3) eccesso di potere per violazione dei principio della buona amministrazione sotto il profilo di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza; violazione dell’art. 97 della
Costituzione e dell’art. 1 l. n. 241/1990; violazione dell’art. 7 l.p. n. 17/1993 per difetto di motivazione;
4) violazione dell’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea perché l’affidamento diretto e la sovracompensazione del servizio integrerebbe un illegittimo aiuto di Stato; domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto.
2.2. Nel giudizio di primo grado si sono costituite la Comunità comprensoriale Burgraviato e la società Eco-Center s.p.a., resistendo alle pretese della ricorrente.
2.3. Inoltre nel giudizio di primo grado è intervenuta la Provincia autonoma di Bolzano.
3. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe (T.r.g.a. – sezione autonoma di Bolzano, 12 settembre 2011 n. 311) ha respinto il ricorso osservando che:
– alla luce dello statuto della società Eco Center e delle risultanze di causa, sussistono i presupposti per l’affidamento in house e, in particolare, il controllo analogo;
– non vi sarebbe violazione della normativa statale e comunitaria e dei principi costituzionali; quanto all’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008, in disparte la sua abrogazione referendaria intervenuta medio tempore, ad avviso del Tar esso non impedirebbe l’esplicarsi della competenza legislativa esclusiva della Provincia di Bolzano in materia di servizi pubblici locali; l’art. 3 l.p. n. 12/2007 sarebbe già stato scrutinato dalla Corte cost.(n. 439/2008) e ritenuto legittimo e non invasivo di competenze statali;
– gli atti impugnati sarebbero adeguatamente motivati.
4. Ha proposto appello l’originaria ricorrente.
L’atto di appello:
– da pag. 3 a pag. 39 riproduce il ricorso di primo grado, i cui motivi vengono espressamente riproposti;
– da pag. 40 a pag. 53 reca le critiche avverso la sentenza gravata.
5. Con il primo motivo di appello si ripropone il primo motivo del ricorso di primo grado e si lamenta che con il ricorso di primo grado, parr. da 19 a 24, si deduceva che la Ecocenter s.p.a. non sarebbe società in house, difettando il requisito del controllo analogo.
5.1. Il Tar ha disatteso la censura osservando che il controllo analogo emerge dallo statuto societario, e citando all’uopo alcune disposizioni statutarie e in particolare l’art. 21; inoltre il Tar ha rilevato che con delibera del febbraio 2011 è stato ricostituito il comitato di gestione che esercita i poteri di controllo; né rileverebbe che il controllo è successivo, risultando anche poteri ispettivi e di controllo preventivo.
5.2. Parte appellante critica tale capo di sentenza osservando che il “controllo analogo” deve essere effettivo e reale, nonché preventivo sulle più importanti decisioni societarie. Il giudice dovrebbe verificare che il controllo non sia meramente formale ma concretamente esercitato, diversamente la società in house sarebbe un mezzo per eludere le regole del mercato concorrenziale. Non basterebbero, poi, gli ordinari poteri di controllo societario (poteri di nomina spettanti ai soci, obblighi di comunicazione, reporting, potere di sopralluogo), atteso che il controllo analogo sarebbe un quid pluris. Dallo statuto emergerebbe che l’organo decisionale della società è il consiglio di amministrazione, che non è soggetto a limitazioni e, in particolare, al controllo gerarchico della Comunità comprensoriale.
Il Tar avrebbe poi omesso di pronunciarsi su alcune censure, e in particolare sui rilievi che il controllo analogo era inattuale, che il comitato di gestione ha un potere di parere non vincolante e che il controllo analogo dovrebbe essere esercitato sulla società come tale e non sui singoli affari.
Si lamenta che la controparte doveva dimostrare che la facoltà di controllo statutariamente viene realmente ed effettivamente esercitata e che i poteri di controllo vanno oltre il normale controllo societario.
6. Il primo motivo di appello è infondato.
6.1. In diritto va premesso che secondo la giurisprudenza comunitaria il “controllo analogo” dei soci pubblici sulla società in house costituisce un <<potere assoluto>> di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo.
In presenza di tale <<assoluto potere>>, l’amministrazione può prescindere dall’applicazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, non in virtù di apposite clausole di esclusione contenute nelle rispettive normative di settore, ma, piuttosto, perché si è in presenza di un modello di organizzazione meramente interno, qualificabile in termini di delegazione interorganica (Commissione europea, nota 26 giugno 2002).
Si è ritenuto che ove le decisioni relative alle attività di una società cooperativa intercomunale detenuta esclusivamente da autorità pubbliche sono adottate da organi statutari di detta società composti da rappresentanti delle autorità pubbliche associate, il controllo esercitato su tali decisioni dalle autorità pubbliche in parola può essere considerato tale da consentire loro di esercitare sulla società di cui trattasi un controllo analogo a quello che esercitano sui propri servizi (peraltro, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio dei fatti attinenti al margine di autonomia di cui fruisce la società in causa, in circostanze come quelle di cui alla causa principale) [C. giust. CE, 13 novembre 2008 C-324/07, Coditel Brabant SA].
La giurisprudenza comunitaria si è soffermata anche sulle modalità di esercizio del controllo analogo in caso di pluralità di soci pubblici, affrontando il tema se il controllo debba essere individuale o possa essere congiunto, e addivenendo alla seconda soluzione.
Si è concluso che qualora un’autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest’ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando, eventualmente, a maggioranza [C. giust. CE, 13 novembre 2008 C-324/07, Coditel Brabant SA].
In positivo, il controllo analogo deve importare un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e le decisioni importanti, e può essere attuato con poteri di direttiva, di nomina e revoca degli amministratori, e con poteri di vigilanza e ispettivi.
6.2. La giurisprudenza comunitaria ha anche affrontato funditus il problema delle modalità del controllo analogo nel caso in cui il capitale sociale della società in house sia frazionato tra una pluralità di soci pubblici, addivenendo alla conclusione che quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta [C. giust. UE, sez. III, 29 novembre 2012 C-182-11 e 183-11, Econord s.p.a.]. Non è dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un’entità comune ai fini dell’adempimento di un compito comune di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; ciononostante, il controllo esercitato su quest’ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell’entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto.
6.3. La giurisprudenza nazionale in termini generali ha affermato che per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario [Cons. St., sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168; Cons. St., sez. V, 11 maggio 2007 n. 2334].
E’ stato ad esempio escluso il controllo analogo in un’ipotesi in cui <<lo statuto, in atti, è quello di una normale società per azioni, nella quale i poteri appartengono agli organi sociali, e non è previsto nessun raccordo tra gli enti pubblici territoriali e la costituzione degli anzidetti organi: il presidente del consiglio d’amministrazione e il direttore sono eletti dal consiglio d’amministrazione, il quale a sua volta è nominato dall’assemblea senza vincoli di provenienza o di proposta, e la stessa assemblea è composta “dai soci” senza ulteriori specificazioni; del collegio sindacale è previsto solo che si compone di tre sindaci elettivi e due supplenti, che durano in carica tre anni e sono rieleggibili. Gli enti pubblici soci, a parte la possibilità di alienare le azioni, non sono neppure menzionati, e anzi lo statuto stabilisce che «il consiglio di amministrazione è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società ed ha facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per l’attuazione ed il raggiungimento degli scopi sociali, fatta eccezione soltanto per gli atti che a norma di legge e del presente statuto sono di competenza dell’assemblea»>> [Cons. St., sez. V, 8 gennaio 2007 n. 5].
In positivo, si sono ritenuti indici del controllo analogo, oltre che la partecipazione totalitaria pubblica, taluni penetranti poteri di vigilanza, quali:
– l’obbligo di trasmettere mensilmente i verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, l’ordine del giorno delle adunanze del medesimo consiglio di amministrazione al sindaco ed all’assessore alle aziende ed agli amministratori della società;
– l’obbligo di trasmettere trimestralmente al sindaco ed all’assessore una relazione sull’andamento della società, con particolare riferimento alla qualità e quantità dei servizi resi ai cittadini nonché ai costi di gestione in relazione agli obiettivi fissati;
– i poteri di nomina e revoca di un rilevante numero di amministratori e sindaci.
6.4. Venendo al caso di specie, l’art. 3 l.p. Bolzano n. 12/2007 – relativo all’”Affidamento a società a capitale interamente pubblico” – recita, testualmente:
“1. I servizi pubblici di rilevanza economica possono essere affidati a società di capitali ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), qualora uno o più enti di cui all’articolo 1, comma 2: a) detengano per intero il capitale sociale; b) esercitino sulla società un controllo analogo a quello da essi esercitato sui propri servizi; c) la società realizzi la parte più rilevante della propria attività con uno o più degli enti che la controllano.
2. Sussiste il controllo ai sensi del comma 1, lettera b), qualora gli enti:
a) provvedano direttamente alla nomina ed alla revoca degli amministratori e dei sindaci della società;
b) svolgano funzioni di indirizzo, indicando gli obiettivi dell’attività e dettando le direttive generali per raggiungerli;
c) esercitino attività di controllo gestionale e finanziario, attraverso l’esperimento di sopralluoghi ed ispezioni nonché attraverso l’esame di report periodici sull’efficacia, sull’efficienza e sull’economicità del servizio.
3. La rilevanza dell’attività ai sensi del comma 1, lettera c), è verificata in conformità alle norme ed ai principi comunitari nonché alla consolidata interpretazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia Unione europea”.
6.5. L’art. 3 in commento, dunque, fornisce una puntuale descrizione del controllo analogo, in linea con le prescrizioni della giurisprudenza nazionale e comunitaria, prevedendosi i poteri di nomina e revoca di amministratori e sindaci della società, lo svolgimento di funzioni di indirizzo e direttiva, il controllo gestionale e finanziario, mediante sopralluoghi e ispezioni e l’esame di reports periodici.
6.6. Passando all’esame delle disposizioni statutarie della società Ecocenter va osservato quanto segue.
L’art. 7 dello statuto dispone che questa sia “costituita da soli enti pubblici”, “stante l’interesse pubblico perseguito dallo scopo sociale”.
L’art. 3 dello statuto, relativo all’”oggetto ed operazioni sociali” della Eco Center s.p.a., prevede che l’attività di questa abbia per oggetto “la costruzione, la compravendita, la manutenzione e/o la gestione di impianti e servizi ambientali ed ogni altra iniziativa finalizzata ad un’efficiente tutela dell’ambiente nonché tutte le attività direttamente o indirettamente collegate ai servizi ad essa affidati dagli Enti Soci”.
Il successivo art. 21 stabilisce che: “In ossequio alla normativa attualmente vigente la società si obbliga a consentire ai soci destinatari dell’attività principale, di potere effettuare sulla società stessa un controllo analogo a quello che i soci potrebbero esercitare direttamente sui propri servizi”, precisando che “tale controllo verrà esercitato: attraverso i poteri di nomina spettanti agli enti soci; attraverso gli altri poteri spettanti agli enti in quanto soci della società; attraverso i Comitati di controllo previsti negli artt. 22 e 23; attraverso gli obblighi di comunicazione e di reporting; attraverso il potere di sopralluogo; attraverso le altre attività di indirizzo, programmazione e vigilanza previste dal presente statuto, dai contratti di servizio e dalle carte di servizio, nonché da ogni altro atto destinato a regolare i rapporti tra i soci e la società.”
A loro volta gli artt. 22 e 23 disciplinano i comitati di vigilanza e controllo attribuendo ad esso pregnanti poteri di controllo (verifica del raggiungimento degli obiettivi, valutazione dell’andamento economico – finanziario della gestione, approvazione del piano industriale e degli altri documenti programmativi, modifica degli schemi tipo dei contratti di servizio, assenso per modifiche degli impianti esistenti e costruzione di nuovi impianti,
6.7. Quindi, il potere di controllo analogo, previsto dallo statuto, è esattamente corrispondente a quello richiesto dall’art. 3, comma secondo, l.p. n. 12/2007, da parte della Comunità affidante sulla affidataria Eco Center s.p.a. e soddisfa i requisiti del controllo analogo perché i soci hanno pregnanti poteri di controllo mediante la nomina e revoca degli amministrativi, poteri di indirizzo e direttiva, poteri di ispezione, sopralluogo, verifica dei reports periodici.
6.8. Obbietta la ricorrente che, comunque, detto potere di controllo non sarebbe stato sussistente al momento in cui la Comunità ha deliberato di effettuare detto affidamento per la gestione del servizio, avendo la stessa, a pag. 3 della contestata delibera n. 18, deliberato che avrebbe stabilito di nominare (“nominerà”) “con provvedimento separato un apposito comitato di gestione, formato da componenti idonei e competenti, preposto alla vigilanza, nell’interesse comprensoriale, sulla corretta gestione tecnico-amministrativa ed economico-finanziaria dell’impianto di fermentazione”; dal chè la ricorrente conclude che “la nomina del comitato di gestione—nella delibera n. 18/2010 è rimandata a future determinazioni dell’ente— meramente eventuali, revocabili, e comunque incerte nel tempo”. Mancherebbe, conseguentemente, la possibilità di esercitare detto controllo, alla data della delibera n. 18.
6.9. Come già rilevato dal Tar, la censura è infondata.
Infatti il comitato di gestione preesisteva all’affidamento deliberato nel 2010 (era stato nominato con lettera 8 febbraio 2006 prot. 1441), e comunque con delibera di giunta comprensoriale 24 febbraio 2011 n. 53 la Comunità comprensoriale ha ridesignato i membri del comitato di gestione.
Sicché il comitato di gestione ha esercitato il controllo senza soluzione di continuità.
6.9. Non può essere condiviso neppure l’assunto secondo cui il controllo deve essere preventivo e non successivo, atteso che:
– il c.d. controllo preventivo è un istituto recessivo nei modelli organizzativi sia pubblici e privati, ed è sempre più spesso sostituito dal controllo successivo;
– nella specie il controllo successivo era puntuale atteso l’obbligo di reporting che risulta in concreto soddisfatto essendo stati prodotti in giudizio reports mensili;
– nella specie lo statuto prevede anche controlli preventivi mediante poteri di sopralluogo, indirizzo e programmazione, puntualmente descritti negli artt. 22 e 23 dello statuto.
6.10. Quanto alla censura secondo cui il controllo sarebbe coincidente con quello societario, ma non avrebbe un quid pluris, la stessa è smentita dalla lettura dello statuto, essendosi visto quali pregnanti poteri hanno i soci e i comitati di vigilanza e controllo, cui spettano le decisioni programmatiche più importanti, sottratte dunque al consiglio di amministrazione.
6.11. Quanto alla censura secondo cui il controllo sarebbe solo formalmente previsto dallo statuto, ma non esercitato in concreto, perché la parte resistente in giudizio non avrebbe fornito la prova che il controllo analogo è effettivo e concreto, il Collegio osserva che si tratta di un singolare ribaltamento di prospettiva e di oneri probatori. A fronte di puntuali previsioni statutarie era onere di chi contesta l’effettività del controllo fornire la prova o quanto meno un principio di prova che il controllo sarebbe ineffettivo.
La censura, priva di prova e di principio di prova, è dunque basata su mere congetture, per di più smentite dalla documentazione prodotta da controparte (statuto, nomina del comitato di gestione, reports mensili).
7. Con il secondo motivo di appello si ripropongono anzitutto le censure di cui al secondo motivo del ricorso di primo grado.
Il Tar ha escluso la violazione della normativa statale e comunitaria.
Parte appellante obietta che la legge provinciale in materia di società in house sarebbe in contrasto con la competenza legislativa statale esclusiva nella materia tutela della concorrenza. L’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008, nel porre limiti alle società in house per i servizi pubblici locali, lo avrebbe fatto nell’esercizio della potestà legislativa statale sulla tutela della concorrenza, con effetto vincolante anche per le Regioni a statuto speciale.
Non rileverebbe l’abrogazione medio tempore intervenuta dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 il cui contenuto sarebbe stato riprodotto dall’art. 4, d.l. n. 138/2011.
7.1. La censura deve essere respinta.
L’art. 23-bis d.l. n. 112 del 2008, recante la precedente disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, si caratterizzava per il fatto che dettava una normativa generale di settore, inerente a quasi tutti i predetti servizi, fatta eccezione per quelli espressamente esclusi, volta a restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui puntuale regolamentazione veniva, peraltro, demandata ad un regolamento governativo, adottato con il d.P.R. 7 settembre 2010 n. 168.
A seguito di consultazione referendaria detta normativa veniva abrogata e si realizzava, pertanto, l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)» (Corte cost. 26 gennaio 2011 n. 24) e di consentire, conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria conferente.
Per l’effetto, con d.P.R. 18 luglio 2011 n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), è stata dichiarata l’abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008
A distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell’avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l’art. 4 d.l. 13 agosto 2011 n. 138 il quale, nonostante sia intitolato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010.
Secondo quanto osservato dalla Corte costituzionale (Corte cost. 20 luglio 2012 n. 199) la disciplina sopravvenuta da un lato, rende ancor più remota l’ipotesi dell’affidamento diretto dei servizi, in quanto non solo limita, in via generale, «l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» (comma 1), analogamente a quanto disposto dall’art. 23-bis (comma 3) del d.l. n. 112 del 2008, ma la àncora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel testo vigente del comma 13) determina automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti. Tale effetto si verifica a prescindere da qualsivoglia valutazione dell’ente locale, oltre che della Regione, ed anche – in linea con l’abrogato art. 23-bis – in difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo “analogo” (il controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario deve essere di “contenuto analogo” a quello esercitato dall’aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante.
Dall’altro lato, la disciplina recata dall’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 riproduce, ora nei principi, ora testualmente, sia talune disposizioni contenute nell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (è il caso, ad esempio, del comma 3 dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 “recepito” in via di principio dai primi sette commi dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, in tema di scelta della forma di gestione del servizio; del comma 8 dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 che dettava una disciplina transitoria analoga a quella dettata dal comma 32 dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011; così come del comma 10, lettera a), dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 325 del 2010, sostanzialmente riprodotto dal comma 14 dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011), sia la maggior parte delle disposizioni recate dal regolamento di attuazione dell’art. 23-bis (il testo dei primi sette commi dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, ad esempio, coincide letteralmente con quello dell’art. 2 del regolamento attuativo dell’art. 23-bis di cui al d.P.R. n. 168 del 2010, i commi 8 e 9 dell’art. 4 coincidono con l’art. 3, comma 2, del medesimo regolamento, mentre i commi 11 e 12 del citato art. 4 coincidono testualmente con gli articoli 3 e 4 dello stesso regolamento).
Alla luce delle richiamate indicazioni – nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato – risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l’identità della ratio ispiratrice.
Le poche novità introdotte dall’art. 4 accentuano, infatti, la drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso escludere. Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo espresso con il referendum riguardava «pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica» (sentenza n. 24 del 2011) ai quali era rivolto l’art. 23-bis, non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che la norma oggi all’esame costituisce, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011.
Anche la sopravvenuta disciplina è stata dichiarata incostituzionale (Corte cost. n. 199/2012), in quanto essa viola “il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale”.
Secondo la Corte, a seguito di abrogazione referendaria, «la normativa successivamente emanata dal legislatore è pur sempre soggetta all’ordinario sindacato di legittimità costituzionale, e quindi permane comunque la possibilità di un controllo di questa Corte in ordine all’osservanza – da parte del legislatore stesso – dei limiti relativi al dedotto divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare» (Corte cost. n. 9 del 1997).
Inoltre l’abrogazione referendaria non consente al legislatore di ripristinare la norma abrogata nemmeno nella limitata versione di «norma transitoria», in quanto l’intervenuta abrogazione della norma «non potrebbe consentire al legislatore la scelta politica di far rivivere la normativa ivi contenuta a titolo transitorio», in ragione della «peculiare natura del referendum, quale atto-fonte dell’ordinamento» (Corte cost. n. 468 del 1990).
Un simile vincolo derivante dall’abrogazione referendaria si giustifica, alla luce di una interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale, al solo fine di impedire che l’esito della consultazione popolare, che costituisce esercizio di quanto previsto dall’art. 75 Cost., venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l’effetto utile, senza che si sia determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto.
Tale vincolo è, tuttavia, necessariamente delimitato, in ragione del suo carattere puramente negativo, posto che il legislatore ordinario, «pur dopo l’accoglimento della proposta referendaria, conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata» (sentenza n. 33 del 1993; vedi anche sentenza n. 32 del 1993).
In applicazione dei predetti principi, la Corte cost. ha ritenuto che il citato art. 4 costituisce ripristino della normativa abrogata, considerato che essa introduce una nuova disciplina della materia, «senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti» (sentenza n. 68 del 1978), in palese contrasto, quindi, con l’intento perseguito mediante il referendum abrogativo. Né può ritenersi che sussistano le condizioni tali da giustificare il superamento del predetto divieto di ripristino, tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e l’adozione della nuova normativa (23 giorni), nel quale peraltro non si è verificato nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata.
7.2. Stante l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis d.l. n. 112/2008 e la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4, d.l. n. 138/2011, e le ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società in house) è venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Si applica invece la disciplina comunitaria sui presupposti e condizioni per l’utilizzo della società in house.
7.3. Non vi sono pertanto le condizioni per ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della l.p. di Bolzano, per asserito contrasto con l’art. 23-bis d.l. n. 112/2008 (inteso come disposizione che tutela concorrenza e non come mera disciplina dei servizi pubblici locali), o per incompetenza della provincia di Bolzano a legiferare in materia di servizi pubblici locali, perché:
– la l.p. di Bolzano disciplina la società in house nel rispetto dei parametri fissati dalla giurisprudenza comunitaria;
– nel quadro normativo attuale la società in house può operare nel rispetto dei parametri comunitari essendo venuto meno il citato art. 23-bis;
– una ipotetica declaratoria di incostituzionalità della l.p. di Bolzano (per incompetenza a disciplinare i servizi pubblici locali), non muterebbe il quadro normativo, che è quello comunitario;
– né rileva la sopravvenuta legislazione statale che pone limitazione alle società in house (art. 4 l. n. 95/2012) trattandosi di disciplina non applicabile ratione temporis.
7.4. Né la disciplina provinciale dell’in house contrasta con il diritto comunitario, perché, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale (Corte cost. n. 325/2010), il diritto comunitario pone per il modello in house limiti meno stringenti rispetto alla disciplina statale (art. 23-bis d.l. n. 112/2008), non avendo mai espressamente e univocamente affermato che per i servizi pubblici locali di rilevanza economica vi sia, per gli enti locali, un obbligo assoluto e inderogabile di affidarli a terzi sul mercato con esclusione dell’affidamento diretto a società in house.
8. Sempre con il secondo motivo di appello l’appellante lamenta che il Tar ha omesso di pronunciare sul quarto motivo del ricorso di primo grado, con cui si lamentava la violazione dell’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sotto il profilo che la società in house Ecocenter s.p.a. percepirebbe illegittimi aiuti di Stato.
8.1. Si assumeva con il ricorso di primo grado che:
– non sarebbe vero che Ecocenter s.p.a. non ha scopo di lucro; si tratterebbe di “una gratuita affermazione non verificata e con ogni probabilità smentita dal bilancio della società”;
– “si è completamente all’oscuro dei criteri applicati per definire gli importi delle tariffe di conferimento previsti nella delibera n. 18 del 20 ottobre 2010, nella bozza di contratto di servizio e negli allegati al contratto. Vero è che siamo in presenza di una patente sovra compensazione in danno dell’Amministrazione in considerazione non solo dei prezzi di conferimento pattuiti ma anche e soprattutto in considerazione della facoltà concessa a Ecocenter s.p.a. di sfruttare del tutto gratuitamente il biogas ai fini della produzione di energia elettrica, dell’uso in proprio e della vendita della quota non auto consumata, con incasso dei certificati verdi”; tale sovra compensazione costituirebbe un illecito aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107 TFUE.
8.2. La censura va respinta per assoluta genericità, e perché basata su mere congetture. La parte non espone circostanze di fatto ma mere supposizioni, ipotizzando una sovracompensanzione, ma non dimostrando perché la tariffa (indicata nell’art. 8 del contratto di servizio) sarebbe sovradimensionata.
Era onere della ricorrente fornire quanto meno un principio di prova delle sue allegazioni.
Va poi osservato che essendo Econcenter una società a totale partecipazione pubblica, non si comprende in che modo essa conseguirebbe un profitto sottratto alla pubblica amministrazione, mediante lo sfruttamento del biogas.
9. Con il terzo motivo di appello si ripropongono le censure di cui al terzo motivo del ricorso di primo grado, con cui si lamentava il difetto di motivazione della scelta dell’affidamento in house.
A fronte di due richieste della odierna appellante di voler partecipare ad una gara per l’affidamento del servizio, la Comunità comprensoriale non avrebbe potuto procedere ad affidamento diretto alla Ecocenter senza una previa valutazione comparativa tra i costi e i benefici dell’affidamento diretto e della gara.
Sarebbero perciò violati i principi del procedimento amministrativo e dell’azione amministrativa e segnatamente quelli di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità, trasparenza, motivazione.
9.1. Il Tar ha disatteso la censura ritenendo la delibera n. 18/2010 adeguatamente motivata.
9.2. Ad avviso dell’appellante la motivazione della sentenza del Tar sarebbe tautologica non spiegando perché l’interesse pubblico sarebbe meglio tutelato dall’affidamento in house piuttosto che dall’affidamento sul mercato.
9.3. Il mezzo è infondato.
Venuto meno l’art. 23-bis d.l. n. 112/2008 per scelta referendaria, e dunque venuto meno il criterio prioritario dell’affidamento sul mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e l’assoluta eccezionalità del modello in house, si deve ritenere che la scelta dell’ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare la opzione tra modello in house e ricorso al mercato, debba basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:
– valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti;
– individuazione del modello più efficiente ed economico;
– adeguata istruttoria e motivazione.
Trattandosi di scelta discrezionale, la stessa è sindacabile se appaia priva di istruttoria e motivazione, viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale.
Tali vizi non si riscontrano nel caso di specie atteso che la motivazione della delibera impugnata e dell’allegato contratto di servizio è completa, ragionevole, e frutto di una valutazione comparativa degli interessi in gioco; essa dà conto dei vantaggi della scelta dell’affidamento in house, sotto il profilo che la società in house non persegue scopi di lucro e consente una gestione economicamente più conveniente e ancillare alla programmazione provinciale, nonché di ottimizzare le sinergie di settore con vantaggi in termini tariffari per l’utenza.
10. In conclusione l’appello va respinto.
La complessità delle questioni e la complessità del quadro normativo giustificano la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese e gli onorali di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere